martedì 3 luglio 2012

I Grandi del Jazz: 01 - Sydney Bechet

Passiamo ora alle biografie degli artisti più importanti, andremo a parlare di artisti che hanno fatto letteralmente la storia di questa musica.

I nomi da me scelti sono:

01 - Sydney Bechet
02 - Louis Armstrong
03 - Benny Goodman
04 - Fletcher Henderson
05 - Glenn Miller
06 - Artie Shaw
07 - Tommy Doorsey
08 - Count Basie
09 - Duke Ellington
10 - Joe Venuti
11 - Django Reinhardt
12 - Stephane Grappelli
13 - Lionel Hampton
14 - Fats Waller
15 - John Coltrane
16 - Lester Young
17 - Dizzy Gillespie
18 - Charlie Parker
19 - Chet Baker
20 - Art Tatum
21 - Charlie Mingus
22 - Eric Dolphy
23 - Sonny Rollins
24 - Oscar Peterson
25 - Miles Davis
26 - Stan Getz
27 - Thelonius Monk

Un elenco di nomi eccezionale, assolutamente non completo, ma sicuramente rappresentativo del periodo d'oro di questa splendida musica.




01 - Sydney Bechet


(1897-1959) suonava il clarinetto e il sax soprano.

Nel 1919 partecipa ad una delle prime apparizioni in Europa di orchestre nere, la Will Marion Cook's Syncopated Orchestra e la Louis Mitchell's Jazz Kings.





In uno di questi concerti era presente il giovane Ernst Ansermet, futuro prestigioso direttore di orchestra, che recensì in termini molto favorevoli l'assolo di Bechet nel brano Characteristic Blues, su una rivista musicale svizzera, la "Revue Romande".

Questo scritto, pubblicato nel 1919, si può considerare il primo articolo di critica musicale dedicato al jazz.

Tornato negli Stati Uniti, nel 1923 si unisce al gruppo di Clarence Williams che fu tra i primi a incidere brani di jazz su disco.
In particolare le primissime due incisioni, Wild Cat Blues e Kansas City Man Blues del 1923 lo vedono unico protagonista dall'inizio alla fine, con gli altri strumenti in posizione di rincalzo.
Si tratta dei primissimi esempi di improvvisazioni jazzistiche, e il tutto con uno swing, non più rigidamente martellante e da marcia militare, come quella del ragtime.

Queste esecuzioni precedono di un anno quelle leggendarie di King Oliver e mostrano una libertà d'improvvisazione maggiore del gruppo di Oliver.
Il linguaggio solistico di Bechet, sebbene ancora non del tutto maturo come lo diventerà nella seconda metà degli anni '20, è davvero il primo esempio di improvvisazione jazz documentata su disco.

Un'altra collaborazione importante dei primi anni venti fu quella con la prima orchestra di Duke Ellington, che prese molto dello stile di Bechet in termini di swing e sonorità.

È plausibile affermare infatti che come Fletcher Henderson apprese il linguaggio ritmico del jazz durante il passaggio di Louis Armstromg nella sua orchestra, lo stesso sia accaduto ad Ellington con Bechet.



Dal 1925 al 1929 Bechet è di nuovo in Europa per una lunga tourneè e suona a Parigi nello spettacolo della Revue Negre dove canta Josephine Baker.



Nel 1931 si unisce all'orchestra di Noble Sissle e ritorna in America, dove incide Polka Dot Rag nel 1934 e Dear Old Southland nel 1937.
Incide anche con i Noble Sissle's Swingsters, un piccolo gruppo costituito con elementi dell'orchestra, e ottiene un grande successo commerciale, con Characteristic Blues nel 1937.

Malgrado ciò, nel 1938 Bechet è costretto a un momentaneo ritiro dalle scene.
La musica in voga era lo swing delle grandi orchestre, le big band bianche di Benny Goodman, Artie Shaw e Glenn Miller.
Il suo stile fiorito sembra superato e si adatta ad aprire una sartoria.
La svolta è l'anno dopo quando incide uno dei suoi capolavori, una eccezionale interpretazione di Summertime al sax soprano, brano da poco composto da Gershwin.
L'incisione gli frutta un ritorno di fama, torna a suonare in pubblico, apparendo al Nick's nel Village e perfino alla Town Hall,continuando ad incidere per la Blue Note per tutti gli anni '40.

Nel 1949 partecipa alla famosa serie di concerti di jazz alla Salle Pleyel di Parigi.
Il successo è così grande che decide di stabilirsi definitivamente in Francia dove nel 1951 compone il suo brano più conosciuto Petite Fleur.

Muore nel 1959 per un tumore.

Qualche tempo prima aveva dettato la sua autobiografia, dal titolo Treat It Gentle, trattalo in modo gentile.

La sua importanza nell'evoluzione del ruolo del solista nel jazz è stata spesso sottovalutata, giudicandola minore di quella di Armstrong.

Questo è succeso per alcuni motivi, il primo è che Bechet incide poco negli anni '20, che sono gli anni in cui avrebbe pesato non solo la sua originalità, ma soprattutto il forte dislivello tecnico tra lui e gli altri musicisti (con l'unica eccezione, naturalmente, di Louis Armstrong).

Bechet incide con Clarence Williams per appena 2 anni, dal 1923 al 1925, dopo va in Europa e ci rimane per 4 anni, rimanendo lontano dalla scena musicale americana.

Louis Armstrong invece, l'altro grande iniziatore del linguaggio solistico nel jazz, rimane negli Stati Uniti e incide la serie d'oro degli Hot Five e degli Hot Seven, diventando fondamentale per lo sviluppo della nuova musica.

Quando agli inizi degli anni '30 Bechet torna il suo stile è ancora più maturo ed espressivo, ma il dislivello tecnico tra lui e le nuove leve è diminuito e il suo stile non riesce ad imporsi.

Altro motivo è che Bechet è un solista ma non un leader, non organizza intorno a sé un gruppo di seguaci, come farà Armstrong e come faranno più tardi Gillespie e Parker, non sa mettersi alla testa di un movimento.

Bechet rimarrà sempre su una posizione laterale mai di primo piano, spesso non figurando per quello che invece è stato, uno dei più grandi musicisti della storia del jazz.

Archivio blog