giovedì 28 maggio 2009

4 - I Grandi del Jazz:Django Reinhardt-Duke Ellington-Eric Dolphy

Django Reinhardt

(1910-1953) chitarrista, zingaro rom di etnia sinti.
Dopo un lungo girovagare la sua carovana si fermò alla periferia di Parigi, che Reinhardt ebbe come scenario per quasi tutta la sua carriera.
Iniziò la carriera come banjoista ma a diciotto anni subì un grave incidente: un incendio divampato di notte nella sua roulotte gli causò l'atrofizzazione dell'anulare e del mignolo della mano sinistra.
Questo incidente era destinato a cambiare la sua vita e la storia stessa della chitarra jazz: a causa della menomazione alla mano sinistra, dovette abbandonare il banjo e cominciò a suonare una chitarra che gli era stata regalata, meno pesante e meno ruvida.
Nonostante le dita atrofizzate, o forse proprio grazie a tale limitazione, egli sviluppò una tecnica chitarristica rivoluzionaria e del tutto particolare che ancora oggi lascia di stucco e suscita ammirazione per la perizia virtuosistica, la vitalità e l'originalità espressiva.
In breve tempo era già in attività con diverse orchestre che giravano la Francia.
A metà degli anni 30 Reinhardt e il violinista Stephane Grappelli formarono un quintetto di soli strumenti a corda che divenne presto famoso in tutto il mondo.
I brani incisi insieme a Grappelli fanno parte integrante della storia della muisca.
Subito dopo la Seconda Guerra Mondiale venne invitato negli Stati Uniti da Duke Ellington, che lo presentò come ospite in alcuni concerti, l'ultimo dei quali alla Carnegie Hall di New York.
Con l'avvento del bebop Reinhardt diede ulteriore prova di maturità ed originalità artistica incidendo dei brani memorabili con la chitarra elettrica: la poesia manouche miscelata alle sonorità più moderne fanno di tali assoli una delle pagine più originali del jazz dell'epoca.
Reinhardt rallentò sensibilmente la sua attività durante i suoi ultimi anni, forse anche per le cattive condizioni di salute: la sua decisione di non consultare i medici, per paura delle iniezioni, gli costò la vita.
Tra i suoi brani più celebri: Minor Swing, Tears, Nagasaki, Belleville e soprattutto Nuages
Muore nel 1953 a soli 43 anni per un ictus.

Duke Ellington

Edward Kennedy "Duke" Ellington (1899-1974) diretore d'orchestra, pianista e compositore, fondamentale nella storia del jazz e della musica del novecento.
A partire dalla metà degli anni dieci inizia a suonare come pianista, e pochi anni dopo forma il suo primo gruppo.
Nel 1922 si trasferisce a New York e un anno dopo ha il primo importante ingaggio con la Snowden's Novelty Orchestra in uno dei più eleganti locali di Harlem.
Il complessino di Elmer Snowden comprendeva già un primo nucleo della futura orchestra di Ellington.
Nel 1924 Ellington diviene, dopo l'allontanamento di Snowden, il band-leader del complessino che prenderà successivamente il nome di Washingtonians e rimarrà al Kentucky Club fino al 1927.
Nel 1927 Ellington ottiene un ingaggio nel locale più in vista di Harlem, il Cotton Club: è questa la svolta decisiva nella carriera di Ellington.
Sono anni fondamentali sia per la definizione dell'organico della futura orchestra sia per la formazione del repertorio.
Scrive i primi capolavori: brani in stile jungle come richiedeva la moda esotica del momento per gli spettacoli pseudo-africani del Cotton Club (Black and tan fantasy, The mooche, East St.Louis toodle-oo) e brani d'atmosfera e di carattere intimista (Black beauty, Mood indigo).
Il jungle era gradito ai bianchi: i neri erano visti come creature semplici e primitive e quindi viste bene in quell’ambiente.
Nel 39 entra in orchestra Billy Strayhorn che fino alla morte nel 1967 rimane il più fedele collaboratore, co-autore e alter ego musicale di Ellington.
Tra il 1940 e il 1943 nasce così una straordinaria serie di incisioni che costituiscono uno dei vertici assoluti della musica del '900 e insieme il contributo più duraturo e generalmente riconosciuto di Ellington alla storia del jazz.
Decine e decine di capolavori come Jack The Bear, Ko-Ko, Concerto For Cootie, Sepia Panorama, Cotton tail, Harlem Air Shaft e tanti altri.
Molti dei suoi brani vanno ben oltre gli schemi del jazz dell'epoca, per lui si deve parlare di musica espressionista, e l'idea che le sue composizioni fossero delle "pitture in musica" fu un concetto più volte espresso dallo stesso Ellington, che in gioventù aveva lungamente coltivato anche la pittura.
Non vi è dubbio che i grandi risultati ottenuti si dovettero anche al fatto che per oltre 30 anni Duke Ellington riuscì a mantenere unita la sua orchestra, formata da grandi professionisti perfettamente integrati con la sua musica.
Negli anni 40 e 50 diversi elementi lasciano l'orchestra per seguire la carriera solistica o per ragioni di salute.
L'orchestra torna sulla cresta dell'onda con l'esibizione di Newport '56, nota per il lunghissimo assolo di sax tenore di Paul Gonsalves sul brano Diminuendo and crescendo in blue.
L’ultima incisione è del 1971, muore tre anni dopo per un tumore.

Eric Dolphy

(1928-1964) polistrumentista, virtuoso del sax alto, flauto e clarinetto.
Dopo un oscuro decennio di professionismo, Dolphy irrompe nel mondo del jazz attorno alla fine degli anni '50, imponendosi come il solista più dotato sotto ogni punto di vista.
Collabora inizialmente col quintetto di Chico Hamilton (Newport Jazz Festival, The Original Ellington Suite), per poi iniziare la fruttuosa collaborazione con Charles Mingus (Mingus at Antibes, Charles Mingus presents Charles Mingus, The Great Concert, mingus mingus mingus mingus).
Dolphy eccelle soprattutto come sideman, con Maz Roach (Percussion Bitter Sweet), John Lewis (Wonderful World of Jazz), Oliver Nelson (More Blues and the Abstract Truth, Screamin' the blues, Straight Ahead), John Coltrane (Olè).
Il suo Out of Lunch è unanimemente considerato uno dei grandi capolavori del jazz anni 60.
Cade vittima di un diabete fulminante nel 1964 durante un lungo tour europeo, poco dopo l'incisione del notevole Last date con Misha Mengelberg e Han Bennink.
La malattia che lo uccise non venne diagnosticata dai medici francesi che lo visitarono, credettero di trovarsi di fronte ad un "classico" caso di overdose da parte di un musicista nero.
Una dedica postuma ad Eric Dolphy arriva da Frank Zappa nel 1970 con The Eric Dolphy Memorial Barbecue, notevole pezzo free jazz pubblicato nell'album Weasels Ripped My Flesh.

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